Ci sono persone che raccontano la storia dei borghi dove vivono e hanno sempre vissuto. Dei luoghi che hanno dato loro i natali, o ai loro avi. Degli abitati che gli sono rimasti nel cuore e nella testa, anche se hanno dovuto andarsene, per i motivi più vari: miseria, amori, voglia di riscatto, obbligo, guerra e chissà che altro. Uomini e donne che hanno trascorso la loro esistenza in una “modalità” che spesso oggi si stenta a comprendere, o che si percepisce appena. Nella dimensione interattiva e iper connessa, veloce e spesso impersonale di questo mondo contemporaneo in cui trascorriamo i nostri giorni, riusciamo a stento ad ascoltare le loro parole e a cogliere le sfumature dei loro sguardi. Leggere negli occhi, nei gesti e nella parola il vissuto di una persona, porta con sé la responsabilità, in un certo senso l’obbligo, oltre che la gioia e il privilegio, di tramandare la forza delle radici del nostro passato, consapevoli che siamo figli tutti della stessa terra. Consci dell’importanza di non perdere l’identità. Queste poche pagine raccontano la storia di un Friuli che sta cambiando, e che lo sta facendo nel solco di quelle che sono la sua esperienza secolare e le sue peculiarità più spiccate: la capacità di adeguarsi alla mutazione, nel silenzio e nella laboriosità, nella straordinaria generosità e nel non giudizio. Una popolazione apparentemente difficile da decifrare. Composita, multi sfaccettata, parcellizzata, lontano e vicina, dura e fragile allo stesso tempo. Unica. Unita ovunque e comunque, al di là degli stereotipi. Resiliente, da sempre. Dedicato a chi si sente figlio di questa terra.
Storie di vita di un Friuli nascosto e intimo, che pian piano sta scomparendo: dalle vecchie botteghe di paese ai borghi quasi disabitati della montagna. Per non perdere quel passato in cui affondano le nostre radici.
«Andavamo su con le gerle per i sentieri ripidi delle montagne. Succedeva che le donne incinte si fermassero a mezza via, per le doglie. Partorivano e mettevano il bambino nella gerla. Poi si rimettevamo in cammino e tornavano a casa».
«Avevo otto anni mi svegliavo alle 5 di mattina. Andavo in bici a cercar lavoro a casa dei contadini; li trovavi solo a quell’ora, che poi andavano nei campi. Ritiravo le padelle da aggiustare. Nell’arco di una giornata papà le riparava. Allora le riportavo alla gente e incassavo i soldi, facendo la cresta».
«Sono emigrata in Germania e ho lavorato in una fabbrica di copripiumini. Poi siamo tornati a casa, in Friuli. Sono tornata a Selva, dove non c’è più niente: ma è la terra del cuore, piena di ricordi, tutti felici».
L’autrice
Fotografa, giornalista e scrittrice friulana, Paola Treppo raccoglie da anni, per lavoro e per passione, le testimonianze orali delle tradizioni del Friuli. Ha già pubblicato “Pignarûl, storie di uomini e del fuoco epifanico”, per Biblioteca dell’Immagine, “La Casa della Vergine” per Edizioni Segno, “I morti raccontano i vivi. Storie friulane dall’oltretomba” per Chiandetti Editore e “Natale in Friuli. Tradizioni, misteri e personaggi di un’epoca sospesa tra mito e storia” per Chiandetti Editore.
Primo premio dell’8^ edizione del concorso nazionale di giornalismo “Paolo Rizzi”.