La filiera suinicola friulana continua a soffrire per la mancanza dell’anello intermedio, quello cioè della macellazione. Lo indica, dati alla mano, la Fondazione Agrifood FVG, che pone l’attenzione anche sul ritorno di un problema che potrebbe creare grossi danni alle imprese locali: la peste suina africana.
Il rapporto tra produzione primaria e consumo, cioè a monte e a valle della filiera, in Friuli Venezia Giulia è equilibrato. Nel 2022 il numero di capi è stato di 248.800, un dato stabile rispetto all’anno precedente. Facendo la media di consumo locale pro capite di carne (17 kg all’anno pari a 37 kg di carcassa), risulta che il fabbisogno si attesta su 250mila maiali all’anno. Il problema sta nel mezzo: quelli macellati in regione, infatti, sono stati solo 61.700, in flessione del 3% rispetto al 2021. Facendo un confronto con il Veneto, nella vicina regione si macella in loco il 50% della mandria, mentre in Friuli Venezia Giulia appena il 25 per cento.
A livello nazionale si distinguono le buone performance delle regioni Emilia-Romagna e Lombardia. La prima macella quasi quattro volte il milione di suini che alleva, mentre la seconda è capace di valorizzare quasi la totalità dei 4 milioni di capi presenti sul suo territorio.
La filiera suinicola della nostra regione, quindi, perde una fetta importante di valore aggiunto, “regalato” ad altri territori, sia italiani sia esteri.
Un fattore di debolezza di non poco conto, se consideriamo anche la nube che si ripresenta oggi all’orizzonte. Infatti, i due focolai in Italia, Piemonte-Liguria e Lazio (è presente anche in Sardegna), nei primi due mesi di quest’anno hanno registrato un picco di contagi nella popolazione di cinghiali. Le autorità veterinarie italiane stanno monitorando con attenzione l’epidemia, anche in Friuli Venezia Giulia, regione che però, essendo di confine, deve rivolgere l’attenzione anche alla diffusione della peste nei Paesi dell’Est, in particolare nei Balcani e in Polonia.
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